Lifestyle

Passando al lato del passeggero

È passato molto tempo dall’ultimo articolo, troppo tempo, in cui tante cose sono cambiate. 

Quasi due anni fa, Francesco è stato diagnosticato con un Colangiocarcinoma al IV Stadio

In questi ultimi mesi/anni mi sono sentita come se la mia esperienza da paziente oncologica fosse stata solo un allenamento, un training per affrontare quello che sarebbe accaduto successivamente… 

Tante brutte esperienze e traumi della mia malattia mi sono sembrati stupidi ed insignificanti. Mi sono sentita egoista per il modo in cui ho affrontato la mia esperienza personale, e per il modo in cui ho affrontato molte cose. 

Non avevo considerato peró, che comunque sempre di traumi e momenti difficili si stava parlando. Ho dovuto affrontare posti e situazioni con PTSD del mio percorso, a cui si sono aggiunte nuove ansie, nuove paure e nuovi traumi. 

Così, di punto in bianco, quella che pensavamo fosse una normale gastrite, si è trasformata in un mostro dal nome complicato in uno stato troppo avanzato per essere debellato completamente, ma solo tenuto a bada. 

Nell’affrontare la mia malattia, ho sempre avuto una strana sensazione di tranquillitá. 

Senso di tranquillitá nel sapere che quella che stava male ero io, e che era il mio corpo ad affrontare effetti collaterali, dolori, terapie e interventi. Mi rendo conto di essere stata molto egoista in tutto questo, non ho mai preso in considerazione più di un tanto come potessero sentirsi le persone intorno a me. Ero concentrata sulle mie priorità, sulle mie esigenze e desideri.

Saltando dalla parte del passeggero invece, mi sono resa conto di quanto sia destabilizzante essere uno spettatore. Il corpo che deve affrontare tutto non é il mio, ma tuttavia mi sono sentita e mi sento tuttora male come se lo fosse, e impotente da non poter in nessun modo fare altro che essere presente. 

Oltre a tutto il caos, gli esami, gli appuntamenti, c’è la fatica di essere la persona piú vicina al paziente. Il caregiver che oltre a prendersi cura del paziente, deve pensare alla parte logistica e a tutte le comunicazioni medico-famiglia. E questo mi ha travolto soprattutto nei primi mesi dalla diagnosi. 

C’è questo lato di me che ama compiacere le persone, odia creare problemi aggiuntivi e vorrebbe fare 100000 cose da sola senza chiedere mai aiuto. Spesso cammino in punta di piedi per non disturbare e destabilizzare gli altri, quando in realtà quella piú destabilizzata di tutti sono io. 

Certe volte è come se i tempi del respiro si dilatassero, altre volte come fossero troppo corti e faticosi, come se l’aria faticasse ad entrare, altre ancora come se rimanessi a trattenere il fiato per settimane.

A volte rimango con gli occhi chiusi, strizzati, con le spalle contratte e rannicchiata, come quando vedi un lampo e aspetti che arrivi il rumore del tuono; o come quando vedi cadere qualcosa e aspetti il momento in cui toccherá il pavimento spaccandosi in mille pezzi. 

Tutta questa attesa/preparazione al rumore è faticosa! E poi… a che cosa serve?

Tutto questo ha portato a tanta tanta ansia, depressione, attacchi di panico e a riprendere tutto il peso perso dalle fine delle mie terapie al pre-diagnosi di Francesco. 

E’ facile dire di affrontare le cose passo passo,che tanto non si sa mai come va la vita, ma non è facile per niente attuarlo. 

Nonostante la sensazione di nausea che mi ha sempre accompagnata nei mesi passati, ho  continuato a mangiare per colmare in qualche modo quel vuoto nello stomaco, talvolta abbuffandomi letteralmente.

Tutto ciò per finire poi con un senso di nausea, mal di testa, sensi di colpa, e Mango che fa la pipì sul pavimento, per sottolineare che qualcosa non va.  

Nella loro difficoltà tuttavia, questi due anni sono stati comunque pieni di vita, nonostante questa sensazione costante, di non avere aria a sufficienza.

Siamo riusciti a fare tante cose, cose che io stessa avrei considerato impossibili subito dopo la diagnosi. Ci siamo sposati, abbiamo viaggiato, abbiamo assistito a matrimoni di persone importanti, abbiamo festeggiato compleanni, siamo andati a concerti e abbiamo fatto un sacco di risate (anche pianti eh! Ma concentriamoci sulle cose positive!)

Non si può passare il tempo preoccupandosi e piangendo su programmi e progetti che non possiamo pensare/fare/disfare.Tutto sommato alla fine, che certezze abbiamo?

Sto imparando che prepararsi al rumore non serve a niente. Che bisogna tuttavia fare rumore quando si sta male, o non riusciamo a gestire qualcosa. Che il proprio rumore è tanto importante quanto quello degli altri. 

A volte pensare al peggio è istintivo ed inevitabile, ma l’importante é riprendersi velocemente e riprendere in mano il controllo! Non è facile vivere il momento, non è facile vivere giorno per giorno, ma è bello quando nonostante il caos, si riesca a respirare (non importa con quanta fatica), e a trovare degli spiragli di luce facendo cose che ci fanno stare bene.